L'essere diventato nonno, ha posto in essere per me una nuova relazione affettivo-educativa, che è necessario che io viva in maniera equilibrata e competente, per aiutare la crescita di questa nuova creatura venuta ad arricchire la mia famiglia.
E' necessario che i nonni non cadano nella facile tentazione di tipo affettivo, che contrapponendoli ai genitori, li porti a giustificare qualsiasi capriccio o comportamento sbagliato, volontario o meno, dei nipoti, proteggendoli dalle giuste correzioni educative di mamma e papà.
Spesso accade con facilità, che i nonni, per affetto, esercitino involontariamente un'azione diseducativa, laddove i genitori tentano invece di dare una giusta formazione ai loro figli.
Lo spunto a questo post viene da alcuni comportamenti del piccolo Giulio, tipici di un bambino di un anno, che gattonando o muovendo i suoi primi passi va in giro per casa, si mette incoscientemente in situazioni a rischio, nelle quali è necessario intervenire per cominciare a formare in lui una coscienza critica circa le sue azioni, almeno per quelle che riguardano la sua incolumità fisica. Non vi sembri che esageri, ma un bambino in questa tappa della sua età evolutiva, è già in grado, se ben guidato, di cominciare a comprendere se una sua azione sia più o meno utile per il suo bene. Allora come avveniva tanti anni fa, con i miei figli, mi rendo conto che non posso permettere a Giulio di mettere le sue piccole dita nelle prese della corrente elettrica, buttare per terra qualsiasi oggetto a portata di mano, cosa che era comprensibile nei mesi precedenti, arrampicarsi su una sedia, e quant'altro la sua naturale vivacità motoria lo porti a fare. Quindi pur sapendo di provocare sicuramente una sua ribellione , poichè ostacolo un suo bisogno vitale di fare nuove esperienze, gli impedisco di portare a termine i suoi tentativi più rischiosi. Alcune volte basta solamente alzare un po' la voce, altre volte è necessario essere più drastici, ed accompagnare il rimprovero verbale con una azione punitiva di tipo corporale, come una sculacciata, che sia naturalmente più accennata che messa a segno con forza, mantenendo sempre una propria calma interiore scevra da rabbia. Giulio allora si blocca, ti guarda interrogativo, fa il classico "cucchiaio", e studiando l'espressione del tuo volto, reagisce o con un incolpevole sorriso, o più probabilmente con un pianto accorato. A questo punto ti affretti ad abbracciarlo e a fargli sentire, nonostante il rimprovero, il calore del tuo affetto. Spesso l'inconscia
monelleria, ritenuta da lui un gioco, viene ripete, e così resta talvolta vittima del suo maldestro tentativo, con un ruzzolone o un urto contro uno spigolo, e il tutto si conclude con un conseguente pianto o per il dolore o per la rabbia. Non prendetemi per un nonno aguzzino, ma bisogna, pur mentre lo soccorri abbracciandolo con affetto, rimproverarlo ancora una volta, perchè capisca che è stato il perseverare nella sua monelleria a procurargli le conseguenze negative. Con molta pazienza da parte mia e soffrendo anche un po' nel dover interpretare il ruolo del cattivo, poco alla volta Giulio capisce che in fondo tutto ciò ha come fine il suo bene, per il momento chiaramente solo fisico, ma da più grande anche del comportamento.
In campo educativo c'è quindi un binomio, a parer mio, inscindibile: comprendere ed esigere. Un'azione formativa che si limiti a tener conto solo di uno dei due termini conduce inevitabilmente al fallimento del risultato dell'equazione educativa. L'errore può essere per difetto o per eccesso: chi educa limitandosi solo a comprendere mette in atto un modo di essere affettivo ma ingenuo, che non persegue il bene dell'altro, chi educa invece limitandosi solo ad esigere mette in atto un modo di essere autoritario che mette in crisi la comunicazione educativa. Quindi: esigere sempre, per formare il carattere dell'altro, ma con atteggiamento di comprensione che fa salvo il rapporto affettivo. Il bambino, credetemi, capisce che è stato punito per il suo errore, ma che questo non ha minimamente intaccato l'accettazione della sua persona.
L'educazione che è necessario impartire ai bambini anche molto piccoli, comporta sempre sacrificio, ma un sacrificio che fa soffrire più chi educa che chi viene educato, ma che alla fine finisce sempre col gratificarti, ve lo garantisce (nonno) Baffo.
Spesso accade con facilità, che i nonni, per affetto, esercitino involontariamente un'azione diseducativa, laddove i genitori tentano invece di dare una giusta formazione ai loro figli.
Lo spunto a questo post viene da alcuni comportamenti del piccolo Giulio, tipici di un bambino di un anno, che gattonando o muovendo i suoi primi passi va in giro per casa, si mette incoscientemente in situazioni a rischio, nelle quali è necessario intervenire per cominciare a formare in lui una coscienza critica circa le sue azioni, almeno per quelle che riguardano la sua incolumità fisica. Non vi sembri che esageri, ma un bambino in questa tappa della sua età evolutiva, è già in grado, se ben guidato, di cominciare a comprendere se una sua azione sia più o meno utile per il suo bene. Allora come avveniva tanti anni fa, con i miei figli, mi rendo conto che non posso permettere a Giulio di mettere le sue piccole dita nelle prese della corrente elettrica, buttare per terra qualsiasi oggetto a portata di mano, cosa che era comprensibile nei mesi precedenti, arrampicarsi su una sedia, e quant'altro la sua naturale vivacità motoria lo porti a fare. Quindi pur sapendo di provocare sicuramente una sua ribellione , poichè ostacolo un suo bisogno vitale di fare nuove esperienze, gli impedisco di portare a termine i suoi tentativi più rischiosi. Alcune volte basta solamente alzare un po' la voce, altre volte è necessario essere più drastici, ed accompagnare il rimprovero verbale con una azione punitiva di tipo corporale, come una sculacciata, che sia naturalmente più accennata che messa a segno con forza, mantenendo sempre una propria calma interiore scevra da rabbia. Giulio allora si blocca, ti guarda interrogativo, fa il classico "cucchiaio", e studiando l'espressione del tuo volto, reagisce o con un incolpevole sorriso, o più probabilmente con un pianto accorato. A questo punto ti affretti ad abbracciarlo e a fargli sentire, nonostante il rimprovero, il calore del tuo affetto. Spesso l'inconscia
monelleria, ritenuta da lui un gioco, viene ripete, e così resta talvolta vittima del suo maldestro tentativo, con un ruzzolone o un urto contro uno spigolo, e il tutto si conclude con un conseguente pianto o per il dolore o per la rabbia. Non prendetemi per un nonno aguzzino, ma bisogna, pur mentre lo soccorri abbracciandolo con affetto, rimproverarlo ancora una volta, perchè capisca che è stato il perseverare nella sua monelleria a procurargli le conseguenze negative. Con molta pazienza da parte mia e soffrendo anche un po' nel dover interpretare il ruolo del cattivo, poco alla volta Giulio capisce che in fondo tutto ciò ha come fine il suo bene, per il momento chiaramente solo fisico, ma da più grande anche del comportamento.
In campo educativo c'è quindi un binomio, a parer mio, inscindibile: comprendere ed esigere. Un'azione formativa che si limiti a tener conto solo di uno dei due termini conduce inevitabilmente al fallimento del risultato dell'equazione educativa. L'errore può essere per difetto o per eccesso: chi educa limitandosi solo a comprendere mette in atto un modo di essere affettivo ma ingenuo, che non persegue il bene dell'altro, chi educa invece limitandosi solo ad esigere mette in atto un modo di essere autoritario che mette in crisi la comunicazione educativa. Quindi: esigere sempre, per formare il carattere dell'altro, ma con atteggiamento di comprensione che fa salvo il rapporto affettivo. Il bambino, credetemi, capisce che è stato punito per il suo errore, ma che questo non ha minimamente intaccato l'accettazione della sua persona.
L'educazione che è necessario impartire ai bambini anche molto piccoli, comporta sempre sacrificio, ma un sacrificio che fa soffrire più chi educa che chi viene educato, ma che alla fine finisce sempre col gratificarti, ve lo garantisce (nonno) Baffo.
4 commenti:
Per quanto la mia esperienza educativa con i bambini sia relativamente limitata, al contrario quella affettiva è costantemente alimentata dalla frequentazione di numerosi cuginetti che naturalmente manifestano comportamenti simili a quelli di Giulio. Mi sono quindi trovata spesso a riflettere sulle reazioni che noi adulti produciamo per far fronte all'errore da correggere e l'idea che mi sono fatta si rispecchia totalmente nelle parole del post... sono inoltre convinta, sottolineando il pensiero di nonno Baffo, che sia estremamente importante mostrare un atteggiamento il più possibile coerente rispetto all'esternazione verbale di divieto, rimprovero o indicazione, in modo che il bambino recepisca il messaggio sottoforma di regola e riesca a distinguere semplicemente ciò che è bene da ciò che è male.
Perfetto! Hai riassunto a pennello il concetto di "educazione autorevole" che molti autori si affannano a spiegare in centinaia di pagine di libri.
Sottolineo la sculacciata "più accennata che messa a segno con forza"...a volte qualcuno fa il contrario.
Non so, io sono zio, anzi lo zio, and proud to be. Ho in mente le ore trascorse a guardare mio nipote nel suo box o a girare in braccio con lui per la casa. Vedere le cose con i suoi occhi e creare una complicità, nella quale il silenzio, il desiderio di parlare, le scoperte comuni, i paletti alla sua voglia di esplorare, sono venuti fuori naturalmente, senza propositi o scopi ulteriori
Comprendere ed esigere. Regola d'ora dell'educazione a qualsiasi età. Grazie per la sintesi che hai fatto!
Posta un commento