Quella quì accanto è la fotografia di Kobe, un piccolo africano, che da un po' di tempo ho messo sulla mia scrivania accanto al computer, insieme a quella della famiglia di Nazareth e dei miei familiari.
Penso che capiti anche a voi di ricevere, con la posta, e con una certa frequenza lettere di associazioni umanitarie onlus, che vi chiedono un'elemosina, e che con la stessa frequenza gettiamo, senza nemmeno leggerne il contenuto, nel cestino della carta straccia, pensando che in fondo non possiamo certo aderire a tutti gli appelli di aiuto che ci vengono rivolti.
Bene, qualche tempo fa, su di una busta c'era l'immagine di Kobe, e forse solo per curiosità ho aperto la lettera, scoprendo che si trattava di un bambino che viveva nel campo di accoglienza di Morrumbala in Monzambico, e che se non fosse stato sottoposto con urgenza ad un intervento chirurgico, sarebbe con molta probabilità morto.
Molti penseranno che sono caduto nella solita trappola del marketing, che fa leva, con l'immagine adeguata, sulla nostra emotività. Non sono sicuramente un ingenuo, per non pensare che ciò potesse anche non essere vero, ma ho anche pensato che al di là della veridicità o meno del caso concreto, Kobe era sicuramente emblematico di centinaia di migliaia di casi reali, sparsi per tutto il terzo mondo, e che valeva la pena di mandare ogni tanto qualche decina di euro per rispondere agli appelli di cui ero fatto oggetto.
Ecco il perchè della foto di Kobe sul mio tavolo, per ricordarmi ogni tanto che da qualche parte nel mondo c'è in ogni momento sicuramente un bambino bisognoso del nostro aiuto. Il mio vuole essere un invito discreto ai lettori del mio blog, affinchè accettino ogni tanto il rischio di essere generosi, piuttosto che il rischio di non esserlo affatto. Grazie!
Bene, qualche tempo fa, su di una busta c'era l'immagine di Kobe, e forse solo per curiosità ho aperto la lettera, scoprendo che si trattava di un bambino che viveva nel campo di accoglienza di Morrumbala in Monzambico, e che se non fosse stato sottoposto con urgenza ad un intervento chirurgico, sarebbe con molta probabilità morto.
Molti penseranno che sono caduto nella solita trappola del marketing, che fa leva, con l'immagine adeguata, sulla nostra emotività. Non sono sicuramente un ingenuo, per non pensare che ciò potesse anche non essere vero, ma ho anche pensato che al di là della veridicità o meno del caso concreto, Kobe era sicuramente emblematico di centinaia di migliaia di casi reali, sparsi per tutto il terzo mondo, e che valeva la pena di mandare ogni tanto qualche decina di euro per rispondere agli appelli di cui ero fatto oggetto.
Ecco il perchè della foto di Kobe sul mio tavolo, per ricordarmi ogni tanto che da qualche parte nel mondo c'è in ogni momento sicuramente un bambino bisognoso del nostro aiuto. Il mio vuole essere un invito discreto ai lettori del mio blog, affinchè accettino ogni tanto il rischio di essere generosi, piuttosto che il rischio di non esserlo affatto. Grazie!
1 commento:
Itala G., Antonio P. e Giusi A.,
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