
Questo è il mio
antititolo al libro di Paolo Giordano,
"La solitudine dei numeri primi", nel cui merito artistico-letterario non intendo minimamente entrare o dare un mio giudizio di gradimento, ma al cui autore vorrei far notare che esistono anche i numeri composti, e dal momento che questi esistono la vita dell'umanità non può avere come paradigma quella dei soli numeri primi come metro di valutazione dell'uomo , invero assai angosciante e riduttivo.
Lo spunto a questo breve post mi è venuto rileggendo più volte il numero composto 44 che ricorre in maniera confortante nel post di giorno 8 novembre che faceva riferimento agli anni della mia relazione matrimoniale con mamma E.R., relazione vissuta fra momenti di gioiosi e qualche volta anche dolorosi, ma sempre con allegra accettazione del presente e di aspettativa piena di speranza per il futuro. 44 anni di vita condivisi in confortetevole compagnia di tutti coloro con i quali siamo entrati in contatto: flgli, genitori, parenti, amici e più in generale il prossimo . Questo numero 44 non è un numero primo e per fortuna non ne ha le caratteristiche. E' strutturato innanzitutto sul numero 2, che se anche numero primo, è il numero della relazione interpersonale per eccellenza: la coppia, e da tanti suoi multipli all'interno dei quali ci stanno 6 spendidi figli, e tanti magnifici amici, e di numero primo in assoluto solo uno: Dio.
Paolo Giordano si serve della metafora scontata dei numeri primi per vedere, attraverso questa sola ottica, definita la realtà e darne una interpretazione di isolamento, solitudine,incomunicabilità, mancanza di rapporti sociali ed affettivi interpersonali, attraverso un amaro percorso che lo porta ai margini delle normali relazioni fra persone mature. Quello che mi rattrista è che Giordano ha scritto il suo libro ad appena 23 anni , e mi comunica l'immagine di un uomo già disamorato e con un cuore vecchio, e che se da un lato ha ancora abbastanza tempo per maturare artisticamente, dall'altro deve decidersi senza perder tempo ad intraprendere un percorso di maturazione anche umano, riuscendo a venir fuori dalla disperata solitudine dei numeri primi, cioè dal suo "comodo io" che denuncia la sua incapacità di relazionarsi col prossimo, per approdare ad un " fecondo tu", che ne farà un uomo capace di instaurare rapporti umani con un altra persona colla quale condividere in maniera propositiva l'esistenza e mantenere dei naturali rapporti umani che facciano dell'uomo, anche se deto malamente, un vero animale sociale. Quelle di Paolo, a mio modo di vedere, sono figure di "emarginati dalla realtà" a tutto tondo, che preferiscono la compiaciuta sofferenza di una sterile solitudine, alla fatica di un impegno che crei legami affettivi fecondi e duraturi. Questo è tipico della dell'autoemarginazione dei giovani d'oggi che preferiscono stare da soli piuttosto che rischiare di impegnarsi in una relazione che li costringa a mettere in atto una volontà responsabile. Se vuole giocare coi numeri ed usarli come metafora letteraria, il nostro giovane e promettente autore, si ricordi che esistono anche i numeri composti, che possiedono la ricchezza per vivere in profondità qauella che io definisco la gratificante " compagia della relazionalità". La solitudine dei personaggi creati da Giordano ne fa nel suo libro, a mio avviso, dei protagonisti dai lineameti interiori, penso volutamente, freddi, duri, apatici, rinunciatari, acidi, antipatici, irritabili, superficiali, incapaci di introspezione profonda e di aggrapparsi ad un qualsiasi tipo di di speranza umana o soprannaturale , per citare solo alcuni degli attributi che mi sembra di ritrovarvi.
Se uno scopre che esiste "la compagnia dei numeri relazionali", per i protagonisti del libro di Paolo non sembra che ci sarà mai la possibilità di una vita di relazione con chicchessia, se si limitano solo alla solitudine di quelli primi. Mi sembra patologico riuscire a vedere nella realtà che ci circonda solo ciò che è negativo e che fa di te una persona ammalata di tristezza cronica.
Il tutto si conclude con l'equazione: "solitudine=disperazione" , cioè l'incapacità di vivere la speranza che ti libera dall'angoscia di una vita angusta e senza slanci di apertura verso il prossimo e verso il soprannaturale.